Articoli determinativi

Gli articoli

Nei precedenti capitoli ho spiegato una parte della fonologia (studio dei suoni che compongono i segni e rappresentano l’alfabeto diviso per lettere: vocali, consonanti e le loro insidie) con fenomeni particolari come: pochi segni diacritici (un accento, l’apostrofo, il trattino), il rafforzamento sintattico, i dittonghi, gruppi consonantici, segni grafici e segni convenzionali, parole omofone ma divisi nel significato, distinti da un articolo o dall’accento. Tutti quei fenomeni che caratterizzano il modello di scrittura del dialetto barese, utilizzando un sistema unico e uniforme, consentire e dare la possibilità a tutti d’iniziare a interessarsi di questo studio con semplicità adoperando la grafia comune.
Oggi finalmente, c’è un testo autorevole, più volte citato, consultato e adoperato nel presente sito web e nei miei corsi di lingua barese inseriti in quattro ‘Università della Terza Età’ e in alcune associazioni culturali: «Il Dialetto di Bari» (guida alla grammatica) di Alfredo Giovine curato dal figlio Felice il quale continua a divulgare gli studi della «Biblioteca dell’Archivio delle Tradizioni Popolari Baresi». Un volume prezioso pubblicato nel 2005, che mette fine ai diversi modi di scrivere il dialetto barese per quanti sono gli scrittori, i poeti e gli autori di canzoni folk.
Posso asserire che abbiamo un valido punto di partenza nel codificare l’ortografia barese e che i cittadini del capoluogo pugliese, studiosi e no, possono essere orgogliosi vedendo inserire, a pieni titoli, l’idioma barese negli studi di linguistica dialettale.
In questo capitolo viene presentata la sezione morfologia che rappresenta la parte più importante, la vera e propria grammatica che studia ‘parti del discorso’ fissati in nove punti: articolo – nome – aggettivo – pronome – preposizione – congiunzione – verbo -avverbio – interiezione.

Articoli determinativi

Gli articoli determinativi sono al singolare maschile «u» (il, lo, l’): “u core” (il cuore), “u stòmeche” (lo stomaco), “u-armàdie”   (armadio). In altri casi l’articolo spesso raddoppia la consonante che segue: “u ffuèche” (il fuoco), “u ggnore” (il nero), “u llatte” (il latte), “u mmìire” (il vino), “u ppane” (il pane), “u ppèpe” (il pepe), “u ssale” (il sale), “u ssanghe” (il sangue), ecc., come ampiamente trattato nel presente canale <Dialetto>, categoria <La lèngua noste> articolo «Le vocali “a”, “i”, “o”, “u” e i fenomeni della “u”».
L’articolo «u» seguito da un nome che inizia con (a) e (o) si unisce con un trattino: “u u-amìche” (l’amico), “u u-òre” (l’oro), “u-attàne” e “u u-attàne” (il padre), “u u-abbìnde” (il riposo) – clicca sempre nel canale <
Dialetto>, categoria <La lèngua noste> articolo «Il trattino nella grammatica barese».
Quando una parola con (u) iniziale, è seguita da una vocale accentata, rafforza il suono della (u) iniziale, come se geminasse un’altra (u), sia che abbia gli articoli (la), (le), sia quello maschile (u).
Es.: “uàrdie”, “la u-uàrdie”, “le u-uàrdie” (guardia, la guardia, le guardie), “uànde”, “u u-uànde”, “le u-uànde” (guanto, il guanto, i guanti)
Rammento che il trattino (-), in questo caso, serve solo ad indicare che la parola va pronunciata tutta di seguito, in una sola emissione di fiato.
Parimenti quando l’articolo (u) davanti a nomi maschili che iniziano con vocale tonica, gemina una (u) che viene incorporata prima della vocale tonica. Es.: “egghie” (olio), con l’articolo fa: “u u-ègghie” (l’olio), “ascre” (lastrico solare) fa “u u-àscre” (il lastrico solare), “àrrue” (albero) fa “u u-àrrue” (l’albero), “àgghie” (aglio) fa “u u-àgghie” (l’aglio), mentre la frase: (l’ho detto) in dialetto si traduce : “u àgghie dìtte”.
Vi sono però casi che richiedono la (i) prostetica come nei seguenti esempi: “aggre” = “u iàggre e ddolge” (l’acre e dolce), “azze” = “u iàzze” (l’ovile), “angecòle” = “u iangecòle” (il cretino), “une” = “u iùne” (l’uno).
Quando le parole hanno accento su vocale di una sillaba diversa dalla prima, il raddoppiamento della (u) ci sarà se il discorso sarà lento con ritmo scandito: “u u-amòre” (l’amore) = “u ua-mò-re”. Nel parlato veloce questo rafforzamento non si sentirà per niente. Così accade per le parole derivate da altre originarie, aventi in precedenza la (u) geminata.
Prendiamo il caso di “u u-àscre”; questo potrà fare “u-ascretìidde” e “u u-ascretìidde”, indifferentemente notando il primo esempio nel parlare corrente, l’altro nel parlar più lento.
Le parole di questo tipo faranno, ad esempio, in principio di frase: “u-aggnìidde iè bbèlle” (l’agnello è bello) al contrario farà: “bbèlle iè u u-aggnìidde” (bello è l’agnello) o “iè bbèlle u u-aggnìidde” (è bello l’agnello).
Lo stesso vale se il nome è complemento oggetto: “vògghie u u-aggnìidde” (voglio l’agnello); manterrà il rafforzamento se sarà riportato in una costruzione non diretta con ripetizione dell’oggetto: “u u-aggnìidde, nonn-u vògghie” (l’agnello non lo voglio).
L’articolo “u” come già spiegato largamente nel presente canale <
Dialetto>, categoria <La lèngua noste> articolo «Le vocali “a”, “i”, “o”, “u” e i fenomeni della “u”», innanzi a parole inizianti con ‘b’ – ‘g’ – ‘s’ – ‘z’, generalmente, rafforza queste consonanti, se nella parola l’accento tonico cade sulla prima sillaba e mai su sillaba diversa: “u bbàgne” (il bagno), “u ssòtte” (il sotto), “u ssòpe” (il sopra), invece, pur davanti a parole con accento tonico cadente sulla prima sillaba, la “u” non raddoppia le parole che iniziano con le consonanti: c – d – f – l – m – n – p – q – r – t – v: “u fìirre” (il ferro), “u mare” (il mare), “u vècchie” (il vecchio). Fanno eccezioni, come soprascritto all’inizio del presente capitolo: “u ffuèche”, “u mmìire”, “u ppàne” e “u qqu”: il ‘q’ (cu), ecc.
È bene ripetere che il raddoppiamento consonantico iniziale ha sempre scarsissime probabilità di avvenire se, dopo la “u”, le parole di genere maschile hanno l’accento tonico che cade su sillabe diverse dalla prima: “u ruzzulàne” (il povero, senza mezzi), “u zzère” (lo zero), “le zzìngre” (gli zingari; al singolare maschile fa “u zìngre” = lo zingaro; al singolare femminile fa “la zèngre” = la zingara).
In casi rari, il dialetto barese ha anche il determinativo “lo”: “lo zì” (lo zio), “lo mènze” (il mezzo): “tène lo mènze” (ha il mezzo), “Pape lo Siste no lla perdenò manghe a CCrìste” (Papa Sisto non la perdonò nemmeno a Cristo) “l’òdie” (l’odio), “l’ùrse” (l’orso), “u bballe de l’ùrse” (il ballo dell’orso), oggi è più frequente: “u bballe du vùrse”, “pe ll’amòre de DDì” (per l’amor di Dio),
Il singolare femminile è scritto con «la» (la, l’): “la vènde” (la pancia), “la uèrre” (la guerra),  “l’àrte” (l’arte), “l’àlda case” (l’altra casa), “l’autoretà” (l’autorità).
Come avete notato nei precedenti esempi, il femminile singolare (la) si elide davanti a nomi che iniziano con vocale: “l’àneme” (l’anima), “l’èrve” (l’erba), “l’ìre” (l’ira), “l’ògne” (l’unghia), “l’ùve” (l’uva).
Non accade invece, quando (la) è davanti a nomi femminili che incomincino con vocale preceduta dalla (i) e dalla (u) semiconsonante.
Es.: “la iòsche” (la loppa), “la ièttatùre” (iettatura), “la iàcche” (sorta di pesca notturna lungo la riva, fatta con il frugnolo), “la uandìire” (il vassoio), “la u-uàrdie” (la guardia), “la uascèzze” (la baldoria).
Per il plurale maschile e femminile è indicato solamente con «le» (i, gli, le): “le terrìse” (i soldi), “le stevàle” (gli stivali), “le mèle” (le mele).
Anche “le” plurale in dialetto si elide in ogni caso, davanti a nomi plurali maschili e femminili che cominciano con vocale: “l’aggnìille” o “l’aggnìidde” (gli agnelli), “l’àneme” (le anime), “l’èrve” (le erbe), “l’ìre” (le ire), “l’òve” (le uova), “l’ògne” (le unghie), “l’ùrdene” (gli ordini: misura campagnola), “l’ùve” (le uve).
Anche per “le” (come per ‘la) in dialetto, articolo determinativo plurale, non si elide davanti a nomi femminili e maschili che incominciano con le vocali ‘i’ e ‘u’, seguite da altre vocali, in funzioni di semiconsonanti o prostetiche o che fanno parte etimologicamente della parola, come illustrato in precedenza: “le iettatùre” (le iettature), “le uardaspàlle” (gli sciallini), (esempi di nomi con vocali iniziali di origine etimologica con valore di semiconsonante).

I nomi di città rifiutano l’articolo, ma sono da notare le seguenti eccezioni: “U Grettùnne” (Locorotondo); si scrive anche: “Le Gretùnne” (oggi si è italianizzato in “Logrotònde”), “U casàle de Sanda Mechèle” (Sammichele di Bari), “U Sìte” (Loseto), “Le Nusce” (Noci), “La Sèlve” (La Selva di Fasano).
Vogliono sempre l’articolo i nomi di monti, di fiumi, continenti, regioni: “U Vesùvie” (Il Vesuvio), “l’Òfende” (l’Ofanto), “le Murge” (le Murge), “la Vaselecàte” (la Basilicata), “l’Amèrghe” (l’America), ecc.

L’articolo singolare (lu) è antiquato e fuor d’uso ed è stato sostituito da «u», lo si nota di leggere e sentire solo in alcuni titoli e nei testi di canzoni popolari come ad esempio: “Quànde iè bbèlle lu primm’ammòre” (Quanto è bello il primo amore). “Mamme lu zìte vène” (Mamme il fidanzato arriva). “Lu vì, lu vì, ca mò se nè vène, che la segarètt’a m-mocche va facènne u scème…” (Lo vedi, lo vedi, che adesso arriva, con la sigaretta in bocca fa lo scemo…). Alfredo Giovine aggiunge, a proposito dell’articolo “u” in barese:
«L’articolo ‘u’ è l’aferizzato di ‘lu’ (dal preromanzo ‘Illu’ per ‘Ille’, dal quale mossero le forme dell’articolo determinativo) che, avendo perduto la ‘l’ è rimasto nella sua ultima veste di ‘u’. ‘Lu’, pertanto, è arcaico e lo si usa qualche volta in poesia, specie in quella popolare di origine antica, prestandosi a rendere vezzoso il verso con un pizzico anche di pretensione. Il popolino l’adopera nelle sue ingenue e brevi costruzioni poetiche, se così si possono chiamare. “Oh! Marì Luìse / Ce bbèdde fiòre iè ccusse / Nu vase t’àgghie a dà / M-bbacce o (“au”, arc.) labbre de lu musse” (Oh! Maria Luisa / Che bel fiore è questo / Un bacio ti darò / Sulle tue labbra)».