Un altro aspetto interessante per quanto riguardano le vocali è, quando in una sillaba ci sono due vocali che formano “dittongo” (fonemi vocalici, pronuncia di una sola emissione di fiato: vocale e semivocale o viceversa).
Il dittongo nasce dall’unione fra una vocale forte (dura, aspra): «a-e (tonica) – o» con una vocale debole (molle, dolce): «i-u» e viceversa, sempreché l’accento cada sulla vocale forte e, dall’incontro di due vocali deboli: «i-u; u-i» dove l’accento cada sempre sulla «u» e mai sulla «i».
La vocale «ì» accentata non forma dittongo in unione con un’altra vocale.
Tra i dittonghi, il più frequente è il «uè» di: bbuène (buono), cecuère (cicoria), cuècce (mùrice; chiacchierare), cuèche (cuoco),cuèdde (collo), cuègghie; (cogli), cuènze (consólo, banchetto offerto da parenti e amici alla famiglia del defunto nei primi giorni di lutto come atto di consolazione), cuère (pelle), cuèrne (corno), cuèrpe (corpo), cuèste (a lato; a fianco; saldavanaio), cuètte(cotto; vin cotto), duènde (dolente), fuèche (fuoco), fuègghie (foglio), fuèrce (forbice), fuèsse (fosso), mescuètte (biscotto),muèdde (morbido, mollo), muèle (molo), muère (muori), muèvete (muoviti), muèzzeche (morso), puèrche (porco), puète (poeta; puoi), scuèrne (scorno; rimprovero), scuèrze (crosta), uèrre (guerra), uètte (otto), uève (buoi).
Altri dittonghi sono:
«àu» di: càuse (causa), Fàuste (Fausto), Màure (Mauro), ecc.
«au» di: aumènde (aumento), auràte (orata), autìste (autista), autoretà (autorità), Laurètte (diminutivo di Laura), ecc.
«ià» di: chiànde (pianto; pianta), chiànghe (lastra di pietra), chiàtte (piatto), chiàzze (piazza), fiànghe (fianco), fiàte (fiato),iàbbre (apri), iàcchie (trova), Iànne (Anna), ecc.
«ia» di: diatèrze (giorno prima dell’altro ieri), Iannìne (dim. di Anna), iatà (soffiare), piacè (piacere), ecc.
«iè» di: chiène (pieno), ière (era), megghière (moglie), maièste (maestro di scuola), ecc.
«iò» di: azziòne (azione), chiòve (piove), iòsce (oggi), liòne (leone; legna da ardere), meggliòne (milione), viòle (viola), stanziòne(stazione), rasciòne (ragione), pecciòne (colombo), breggessiòne (processione), cassciòne (cassone), ecc.
«iù» di: cchiù (più), cchiùmme (piombo), fiùme (fiume), iùne (uno), iùscke (brucia), nessciùne (nessuno), segghiùtte(singhiozzo), ecc.
«uà» di: affecuàte (affogato), buàtte (barattolo), duàne (dogana), pezzuà (pizzicare), scecuà (giocare), uà (guaio), uànde(guanto), uàppe (guappo), ecc.
«ua» di: uadàgne (guadagno), uandìire (guantiera), uardiàne (guardiano), uarnemìinde (guarnimento), uarnì (guarnire),uascèzze (baldoria), nguadrà (inquadrare), ecc.
Si aggiungono nel dialetto quelli caratteristici e perspicui quali:
«eùu, iùu» di: muèreùuse (moccioso), firmaiùule (militare di carriera), ecc.
«ùu» di: ciùutte ciùutte (satollo), dùurme (dormi), mùute (imbuto, muto), pùurte (porto), ecc.
«uu» di auuì (olive), auuandà (prendere, acciuffare), scìuue (scivola), tàuue (tavolo), ecc.
Un’altra peculiarità è il dittongo «ue» (la “e”), serve a rappresentare un suono particolare che si nota nella parte finale della parolamuèrue (muco nasale), pèrue (pergola), mìggnue (tappo di legno per il galettòne: tinozza di legno o di rame), amìnue(mandorla) ecc.
Un altro caratteristico suono in dialetto è il dittongo «ìi» (alcuni poeti di ieri e di oggi lo rappresentano con il suono «ie»). Alfredo Giovine, noto storico, demologo, poeta popolare e dialettologo barese, nella sua grammatica «Il Dialetto di Bari», ha scritto che «La verità è nel mezzo. Il suono è in una fase intermedia fra i e ìi. Gli abitanti di Bari vecchia, soprattutto anziani, pronunciano in modo da giustificare “ie”, gli abitanti di Bari nuova e la gioventù di Bari vecchia pronunciano in modo da giustificare “ìi”. È certo che questo suono si va orientando decisamente verso ìi totale».
Infatti, oggi sono in maggioranza i poeti che usano “ìi” al posto di “ie” e Giovine sin dal 1964 suggerì di scrivere il segno corrispondente a tale suono con “ìi” «perché non è lontano il tempo in cui si arriverà al semplice “i” data l’evoluzione in corso di questo particolare fonema».
Es. gardìidde da ‘gardiedde’ (galletto); cìile da ‘ciele’ (cielo); pennìidde da ‘penniedde’ (pennello).
Giovine dà un’altra esauriente spiegazione a proposito del suono «ìi»: «Ma vi è un’altra ragione evidente nel preferire il suono ìi, in quanto: “lemenàrie” (luminarie); “chietràte” (gelata); “chievève” (pioveva), hanno il segno ie con suono ben diverso da quello di “gardìidde” che lo vogliono scritto “gardiedde”».
Un altro specifico suono di due vocali è il semidittongo «iì»: iìnde (dentro). È formato dall’accoppiamento della semivocale (i) (i prostetica) e dalla vocale (ì) accentata. In barese (i) e (u) davanti ad altre vocali hanno sempre funzione semivocalica.
Il semidittongo serve segnalarlo perché Giovine evidenzia con particolarità, «…in poesia provoca lo iato fra la vocale finale della parola precedente e sé stesso. In questo caso, s’intende, s’impedisce la sinalèfe, detta, altresì, ‘crasi’ o ‘fusione’, ovvero, come generalmente si dice impropriamente ‘elisione’ (perché dove c’è questa, c’è sempre il segno dell’apostrofo).
Es. me scìibbe a mmètte iìnde (mi andai a mettere dentro – lett. –). Sillabiamo la locuzione: “me-scìib-b’a-mmèt-te-iìn-de (sette sillabe). Abbiamo quindi sette sillabe perché ‘te’ e ‘iì’ vi è iato. Se vogliamo avere la fusione fra “mètte” e “iìnde”, dovremo sopprimere la semivocale prostetica ottenendo solo in questo caso la vera elisione fra la parola “mètte” e “iìnde”.
Es.: “me-scìib-b’a-mmèt-t’ìn-de” (sei sillabe)».
Giovine fa un altro esempio con il pronome «iì» (ì): “tu-dìg-ghe-iì” (quattro sillabe); “tu-dig-gh’ì” (tre sillabe). L’elisione va sempre eseguita fra la prima parola terminante con (e) muta e la seguente che inizia con (i) prostetica, ricorrendo proprio alla soppressione di quest’ultima. Es. pure iì (tre sillabe), pur’ì (due sillabe).
Non è ammessa la fusione, quando la finale del primo vocabolo ha la vocale accentata e la seconda parola inizia con (i) prostetica.
Va subito detto, dopo i precedenti esempi che quell’ «ì», nella poesia, va bene scritto così e non seguita con l’apostrofo (i’) come qualche scrittore e poeta usa ancora anche con (’u o u’ = il). Se «u» è in barese, (il = articolo) non serve scriverlo con l’apostrofo come spiegherò con altri esempi nei prossimi articoli. Quindi la parte che rimane è una vocale che non può chiamarsi neanche aferizzata perché l’aferesi non è altro che la soppressione di una vocale o lettera iniziale che faccia parte di una parola, mentre la (i) prostetica appare e scompare secondo determinate situazioni.
Anche nella lingua italiana abbiamo una (i) prostetica per le parole che principiano con (s) impura: strada: per istrada; scritto: per iscritto, ecc.
Iato
Lo iato (pronuncia separata di due vocali dure), in dialetto barese si forma con l’unione fra una vocale debole (molle, dolce) e una forte (dura, aspra), quando l’accento cade sulla vocale dolce e fra due vocali deboli dove è accentata la «ì» come nei seguenti esempi: an-gu-ìl-le (anguilla), ar-ru-ìc-chie (alberello), bab-bu-ì-ne (babbuino), cap-pu-ì-ne (berrettino), cu-ì-te (aver cura), Lu-ìg-ge (Luigi), mu-ì-ne (mulino; chiasso; moine), pru-ì-te (prurito), ru-ì-ne (rovina), u-ì-te (guida), ecc.
Nella lingua italiana, parole che hanno lo iato «e-a», nel dialetto barese la (e) si tramuta in (i): (beato) vi-à-te, (teatro) ti-à-dre,(reale) ri-à-le, (creato) cri-à-te, ecc.
Ci sono però delle eccezioni ossia, come abbiamo visto, i segni: «ie», «ìi» e «ùu», formano una sillaba sola e quindi entrano nella schiera dei dittonghi: (iè)ttatùre (iettatura), vadàcch(ie) (vattelappesca, chissà), candastòr(ie) (cantastorie), còp(ie) (copia),febbrà(ie) (febbraio), gard(ìi)dde (galletto), camar(ìi)re (cameriere), scken(ìi)dde (scansafatiche), m(ùu)te (imbuto, muto),p(ùu)rte (porto), ecc.