Vocale (e)

L’importanza della vocale (e)

La presente pagina dà inizio a una serie di articoli per quanto concerne la grammatica barese utilizzando esclusivamente il modello di scrittura dell’autorevole volume «Il Dialetto di Bari» (grammatica-scrittura-lettura) di Alfredo Giovine a cura di Felice Giovine, il corso di dialetto «La Lèngua Noste» (manuale per una scrittura unificata della lingua barese) di Gigi De Santis, consentendo a tutti di familiarizzare con la grafia standard e, quindi, poter pronunciare con semplicità la nostra lingua. Un sistema unico e uniforme di scrittura che si avvicina di molto all’alfabeto italiano adoperando già tutti quei fonemi e fenomeni d’ortografia concordati e confermati dai più e, inserendo, altre norme già discusse, ampliate, risolte e diffuse dall’ Associazione Culturale «Accademia della Lingua Barese “Alfredo Giovine”», operante dall’otto maggio 2012.

La vocale «e» in posizione tonica e atona ha una funzione importante e basilare nella scrittura barese come nella maggior parte dei dialetti italiani. La (e) si pronuncia nei seguenti casi:

  • a) Quando cade su di essa l’accento principale della parola. Esempio: “tèrre” (terra), “bellèzze” (bellezza), “dialètte” (dialetto), “ndeghelètte” (leccornìa), “ègghie” (olio), “ècchie” (occhio), “ère” (aia)..
  • b) Quando è termine di parola accentata. Es.: “sapè” (sapere), “percè” (perché), “Taratè” e “Trattè” (Dorotea).
  • c) Quando è preceduta da un articolo o da un’altra vocale (i” e “u” prostetica). Es.: “u u-ègghie” (l’olio), “iègghie” (olio), “l’ècchie” (gli occhi), “n’ècchie” (un occhio), “m-mènz’a ll’ère de Carvenare” (nella grande piazza di Carbonara dove una volta era l’aia per trebbiare il grano).
    Spesso la “e” iniziale che fa sillaba atona si elide o si muta nella vocale “a”: “Miglie” (Emilio; si scrive anche “Emìglie), “dugazziòne” (educazione), “Arriche” (Enrico), “vangèlìste” (evangelista), “arrore” (errore), “asatte” (esatto, giusto), ecc.
  • d) Quando è  terza persona singolare del presente indicativo del verbo essere “è” (si scrive anche “” con la vocale “i” prostetica – aggiunta di una vocale all’inizio di una parola; vocale protetica –) – clicca nello stesso canale «Dialetto», categoria <La lèngua noste> articolo ‘Vocali prostetiche’-. Esempio di “è” e di “”: “Munne è sstate, munne iè e mmunne av’a ièsse” (Mondo è stato, mondo è, e mondo sarà), “Iè o nonn-è? Iè!” (È o non è? È!).
  • e) Quando è congiunzione. Esempio: “Iàcque e ssale” (Acqua e sale), “Mengùcce e Bellònie” (Domenico e Apollonia).

Tutte le “e” non accentate che fanno parte di un vocabolo o nome proprio hanno suono indistinto, semi mute come la “e” muta francese e non può essere eliminata perché rende sonora e vocalizza la consonante cui è connessa, perciò è necessario all’elisione e alla contrazione di altre vocali come per esempio nella seguente parola: “rennenèdde” (rondinella). La sua omissione, interna o finale di parola, comporterebbero una grafia illeggibile: “rennenèdde” ‘rnnnèdd’ (rondinella), “fremmenànde” ‘frmmnànd’ (fiammifero), “Petresenèlle” ‘Ptrsnèll’ (‘Petrosinella’),  “descetàmece” ‘dsctàmc’ (svegliamoci), “benedecèvene” (bndcèvn).

Parimenti se la “e” semimuta è sostituita con un apostrofo (’) come in alcuni testi che hanno trattato il vernacolo e, soprattutto, nelle pubblicazioni di poesie dove la grafia è un vero guazzabuglio: (r’nn’nèdd’), (fr’mm’nànd’), (P’tr’s’nèll’), (d’sc’tàm’c’), (b’n’d’cèv’n’), la lettura diventa veramente ostica.
Uniche eccezioni dove non è inserita la (e) finale semimuta, è nelle parole straniere, in alcune voci imitative e onomatopeiche, in “laps” (matita), “appizza laps” (temperamatite), “datz ca” (datosi che) e “condronos” (intraducibile; che vuol dire press’a poco: confidenza).
La regola è la seguente: «Si deve sempre tener conto che la “e” semimuta è pur sempre un suono, benché poco distinto, quindi è obbligatorio scriverla sia nel corpo, sia a fine vocabolo».

Per comprendere meglio e subito quanto scritto si provi a pronunciare la parola marinaio che in barese può essere espressa graficamente “marnare” e “marenare”, e ‘andiamo al mare’: “sciàme o mare” e non sciàme o mar (lo sceicco). Sarà sufficiente a quanti sostengono l’inutilità della trascrizione della e ?

Emblematico è l’esempio di “ ì so d Bàààr ” così scritto, e con un certo impegno, si dice che si è di Bar (Antivari), città di fronte a noi, mentre  se si vuole affermare di essere di Bari, occorre scrivere  “ì sò de BBare” (si noti il raddoppiamento della consonante in principio di parola BBare; un altro fenomeno grammaticale non solo della lingua barese ma è anche prerogativa dei dialetti pugliesi e meridionali).

Altro esempio indicativo è quando pronunciamo la singola parola Bari, in dialetto se scriviamo senza la (e) semimuta, pronunciamo Bar (caffetteria).

Qualunque parola che pronunciamo, la voce posa su una vocale (accentata). L’accento può stare in fondo al vocabolo, nell’ultima sillaba ed è distinta come tronca: “ddà” (), “” (noi), “” (è), “Marì” (Maria), “acchiò” (trovò), “cafè” (caffè).

La parola di due sillabe, che porta l’accento sulla penultima si dice piana e come in italiano non si accenta salvo se non è scritta con la (e) tonica «è», con le (i) accentati «ì», «ìi», «» e con le (u) accentate «ù», «ùu»: “pane” (pane), “sale” (sale, sali), “frate” (fratello), “pèpe” (pepe), “bève” (bere), “sèmbe” o “sèmme” (sempre), “mìire” (vino), “iìdde” (lui), “iùscke” (brucia, piccante), “dùurme” (dormi); ecc.

La parola piana, composta con più di tre vocali e con più di due (e) atone, in barese è obbligatoria accentare la penultima sillaba: “abbefacchiàte” (gonfio in viso, tumefatto), “arrechessciùte” (arricchito), “canessciùte” (conosciuto), “giagànde” (gigante), “mammarànne” (bisnonna), “nessciùne” (nessuno), ecc.

La parola piana, se è formata, all’inizio, con un dittongo, si accenterà la vocale tonica anche quando non è scritta con la vocale (e) muta finale. Es.: “chiòve” (piove), “fiàte” (fiato), “Ciànna Ciànne” (Gianna Gianna, Giovanni Giovanni), “iàcqua iàcque” (acqua acqua), “scìuua scìuue” (gioco frequentato dai ragazzi, i quali si lasciano scivolare lungo il corrimano di una scala), ecc.

Se l’accento cade sulla terzultima sillaba, è indicato come sdrucciola; nel dialetto barese le parole sdrucciole, oltre ai seguenti vocaboli: “felìscene” (fuliggine), “felòsefe” (filosofo), “fèmmene” (femmina), “iòmmene” (uomo), “lepòmmene” (uomo lupo, licantropo), “scettùscene” (testuggine, tartaruga),  ecc., si trovano nei verbi di modo indicativo presente della 1ª e 3ª pers. pl.: “ièsseche” (esco), “ièssene” (escono).
Modo indicativo imperfetto della 3ª pers. pl.: “cadèvene” (cadevano), “mangiàvene” (mangiavano).
Modo indicativo trapassato prossimo della 3ª pers. pl.: “avèvene mangiàte” (avevano mangiato). Modo congiuntivo imperfetto della 1ª, 2ª e 3ª pers. pl.: “sapèsseme” (sapessimo), “sapìisseve” (sapeste), “sapèssere” (sapessero), ecc.

Nel modo congiuntivo trapassato della 1ª, 2ª e 3ª pers. pl.: “avèsseme mangiàte” (avessimo mangiato); “avìisseve mangiàte” (aveste mangiato), “avèssere” o “avèssene mangiàte” (avessero mangiato).

Continua…

Bibliografia: Alfredo Giovine, Libro, «Il Dialetto di Bari» (grammatica-scrittura-lettura) a cura di Felice Giovine, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari, 2005. Progetto: Corso di Grammatica Barese «“Centro Studi Baresi” – Felice Giovine / Centro Studi “Don Dialetto” – Gigi De Santis», per le scuole e associazioni culturali di Bari. (2011-2012). «Accademia della Lingua Barese “Alfredo Giovine”» costituita l’ 8 maggio 2012.

 

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Gigi De Santis
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