Nomi di Santi, nomi composti e similari,
nomi composti da due sostantivi.
Nomi di Santi
I nomi maschili di santi sono preceduti da “sande” e “san”. Per le variazioni di “san” davanti a nomi che cominciano con (f) e (b), la (n) si muta in (m) e la (f) in (b).
A differenza degli altri santi, san Nicola (protettore di Bari) e san Michele (protettore di Carbonara e Palese: quartieri di Bari), vengono pronunciati in dialetto: “Sanda Necòle” e “Sanda Mechèle” (per un motivo fonetico, così come “la mamme” diventa “la mamma bbèlle”). Il titolo venne attribuito anche a due santi fasulli che, come tutte le cose fasulle, vogliono mostrare di essere veri; così abbiamo in barese: “sanda Lìssce” e “sande Nudde”.
Un modo come un altro per evitare di bestemmiare un santo vero: “mannàgghie a ssanda Lìssce” e “mannàgghie a ssande Nudde” (lett. mannaggia a san…nulla), per dire: ‘capperi’, ‘cacchio’. “Sanda Lìssce” si dice anche a chi ha la bazza “la babbìssce”.
Soffermandoci ancora su san Nicola va detto che, seguito dall’aggettivo possessivo “mì”, segue e non segue l’uso del femminile, mentre seguito da altri aggettivi segue l’uso del maschile.
Uso del Femminile: “sanda Necola mì” o “sanda Necòle mì”; “sande Necòle mì”; “sanda Necòle bbèlle”; “sanda Necòle nèste”; “sanda Necòle care”.
E in ultimo, parlando sempre di ‘santi’ molto noti creati dalla fantasia popolare, “du scegguannàre barèse” (buontempone, allegrone), ci sono: “sande Cannìte” (santo…esofago); “sand’Annècchie” (santo…a un occhio) e “sande Mangiòne” (santo…raccomandato).
Nomi composti e similari
Alcuni nomi sono formati, anche da due parole diverse, e in dialetto, possono essere staccate o unite. Per i nomi composti in dialetto, dettare regole costanti è praticamente impossibile. In seguito vengono riportati i fenomeni così come sono.
Nomi composti da due sostantivi
Se il nome è maschile, il primo e il secondo termine non subiscono alterazione, sia al singolare, sia al plurale: “u pèssce” (il pesce); “u cane” (il cane); “u pèsscecàne” (il pescecane); “u rucche rucche” (il ruffiano); “u cane lupe” (il cane lupo); “u allèrte allèrte” (allarme, preallarme); “u murre murre” (il mormorìo, il vocìo sommesso).
Al femminile, invece, il primo nome termina sempre in (a): “u sscìuua sscìuue” (la scivolarella); “u lèna lène” (è l’espressione iniziale d’attacco dei canti popolari; ha la stessa funzione di “ah! uèllì, ah! uèllà”).
Al plurale può e non può variare questa terminazione: “la mamma ciùcce” (la madre dell’asino), ma può significare la madre asina; per dire la cagna, basterebbe pronunciare “la cane”, ma in dialetto si usa il pleonasmo “fèmmene”: “la cana fèmmene” (la cagna femmina); per il maschile abbiamo: “u ciùcce màsque” (l’asino maschio), al plurale, invece, è necessario il termine “fèmmene”: “le cane fèmmene” (le cagne).