Un altro fenomeno della corretta grafia e pronuncia in dialetto barese sono le vocali (i) e (u) in posizione prostetiche (aggiunte), ossia fenomeno fonetico detto anche meno diffusamente protesi; consistente nello sviluppo di un elemento non etimologico (vocalico o semivocalico) all’inizio di una parola per esigenze eufoniche. Un’ampia spiegazione è inserita nell’interessante volume di Alfredo Giovine «Il Dialetto di Bari» (grammatica, scrittura, lettura) a cura di Felice Giovine.
Vi sono parole baresi che da sole e in determinate situazioni non possono essere pronunciate se non vengono sorrette da una delle vocali ‘i’ o ‘u’.
‘I’ prostetica: viene premessa a nomi maschili e femminili che iniziano con le vocali accentate, salvo che questi non siano preceduti: dall’articolo determinativo ‘u’: “(i)àngeue”: angelo; “de iàngeue”: di angelo;
o da preposizioni formate con tale articolo;
o nei casi di iato –clicca nello stesso canale «Dialetto» categoria <La lèngua noste> articolo ‘Dittonghi e iato’-;
o per eccezione: “u iàggre e ddolge” (acre e dolce), “u ìrre e òrre” anche “u iìrre e iòrre” (confusione, chiasso), “u iìsse e ttrase” (esci ed entra), ecc., che stando all’abitudine su descritta avrebbero dovuto fare “u u-àggre e ddolge” ecc., “Olghe” fa “Iòlghe” (Olga), “Ièmme” fa (Emme).
I nomi che non hanno l’accento che cade sulla vocale iniziale non prendono mai la ‘i’ prostetica, salvo casi eccezionali, perciò “Andònie” (Antonio) non fa mai ‘iAndònie’ e “Arrìche” (Enrico) non fa mai ‘iArrìche’.
La ‘i’ prostetica resta anche nei diminutivi: “Iàngeue” (Angelo), “Iangiulìne” (Angiolino), “Iangeuìcchie” (Angioletto), “Iangecòle” (Angelonicola), “Iannìne” (Anna) da “Iànne”.
Alcuni nomi con ‘i’ prostetica possono produrre altri nomi con accenti tonici che cadono su vocali diverse da quella iniziale di parola. Questi, nonostante lo spostamento di accento, conservano, (ma possono non conservare), l’ ‘i’ eufonica della parola dalla quale discendono:
– “iàscre”: “iascratìidde” e “ascratìidde” (o “ascretìidde”): lastrico
– “iàrrue”: “iarruìcchie” e “arruìcchie”: albero
– “iàcque”: “iacquarèdde” e “acquarèdde”: acqua
– “iàcce”: “iaccetìidde” e “accetìidde”: sedano.
Vi sono casi in cui la ‘i’ prostetica è richiesta anche quando le parole che iniziano per vocale accentata sono precedute da parole con vocale finale accentata: “cchiù iàgre” (più acre), “iè iàrrue” (è albero), “quànne iè” “quann’è” (quando è).
Si tenga presente che in questi casi la ‘i’ prostetica è semivocalica e perciò si raddoppia se è preceduta da una delle particelle già considerate, es.: “iè” – “cce iè”, che diventa quasi “cce iiè?”. Le stesse parole richiedono la ‘i’ prostetica, quando vengono precedute da vocali finali atone con le quali non si voglia l’elisione. Cosa che avviene soltanto se delle due vocali iniziali della parola, la ‘i’ è prostetica e non una ‘i’ etimologicamente facente parte della parola: “quann’è”, pur’ì” (pure io), “quand’àcce uè?” (quanti sedani vuoi?); “iòse” (chiasso) e “iettatòre” (iettatore), per es., hanno la ‘i’ etimologica e, quindi, non è consentita l’elisione, “quànda iòse” (quanto chiasso). Non vuole l’ ‘i’ prostetica, la ‘e’ congiunzione. Non vogliono la ‘i’ prostetica le parole con accento tonico sulla vocale iniziale, quand’esse vengono precedute da parole terminanti con consonante: “iè” – “iève” – “iàve” – “iàcque” – “nonn-è” – “nonn-àve” – “ngègne ad àcque” (noria, bindolo), ma fa “pestòle a iàcque” (pistola ad acqua).
– “ièrve”: “l’èrve” (femm. sing. e pl.) = erba, le erbe;
– “iàcque”: “l’àcque” (femm. sing. e pl.) = acqua, le acque;
– “iàrrue”: “l’àrrue” (masch. pl.) = albero, gli alberi;
– “iàcce”: “l’àccere” o “l’àcce” (masch. pl.) = sedano, sedani.
Altrettanto accade con qualsiasi altro legamento fra parola e parola (con la ‘i’ prostetica) sia esso elisione o altro espediente, ad esempio, il trattino che lega a un’altra parola, “nonn” ed “è” diventa “nonn-è”, “pure” e “iì” diventa “pur’ì”. Rifiuta, la ‘i’ prostetica, per eccezione, la vocale ‘è’, se è seguita dal participio passato “state”, “fatte”, “muèrte” – “è state iìdde” (è stato lui); “è ffatte” (è fatto); “è mmuèrte” (è morto), ma “iè bbuène” (è buono); “iè bbèdde” (è bello); ecc.
“È ffatte” ha valore di: è stato fatto – Se “fatte” non è participio passato, ma sostantivo, allora l’ ‘è’ prende la ‘i’ eufonica “iè ffatte vècchie”: è fatto vecchio, e mai “è ffatte vècchie”.
“È mmuèrte”: se “muèrte” è in funzione di sostantivo, l’ ‘è’ prende la ‘i’ prostetica “iè mmuèrte de novandànne”: è (un) morto di novantanni; “è mmuèrte a novandànne”: è morto a novantanni.
Esaminiamo tre voci del presente indicativo del verbo “avè” (avere):
1ª persona singolare: “àgghie”, “iàgghie”, “àgghieche” e “iàgghieche“.
2ª persona singolare: “ha”, “ià”.
3ª persona singolare: “ave”, “iàve”, “ha”.
Le forme “iàgghie” e “iàgghieche”: io ho, sono usate con prevalenza quando reggono termini che non abbiano funzioni di participio passato: “Iàgghieche rasciòne”: ho ragione; “iàgghie tèrte”: ho torto; raro, ma possibile: “àgghie (e “àgghieche”)rasciòne”.
Se è col participio passato di un verbo, “àgghie”, perde la ‘i’ eufonica: “àgghie bevùte” (ho bevuto), “àgghie sapùte” (ho saputo), ecc. “Àgghie” si usa com’è nella forma perifrastica del futuro: “àgghie a mangià” :mangerò – devo mangiare. Così dicasi per la forma della seconda persona singolare “ià”: “ià rasciòne” – “ià tèrte”. Col participio passato (raro) “ha tenùte fète” (anche “sì tenùte fète”, di uso frequente). E così per la forma perifrastica (vedi sopra). Lo stesso vale per la 3ª persona singolare dell’indicativo presente “iàve”. Però “avè” senza ‘i’ serve sempre per la forma perifrastica e per reggere prevalentemente i participi passati che principiano con vocale e non frequente per consonante: “av’avùte” – “àve perdùte” – “àve menùte da la vanne du u-attàne”: ha preso tutto dal padre. Mentre i participi passati che cominciano per consonante prediligono più la forma “ha” che “ave”: “ha cadùte” – “ha bevùte” – “ha perdùte”, meno frequente: “ave perdùte”. Le altre due forme di 1ª e 2ª persona plurale dell’indicativo presente non sono soggette a fenomeni della ‘i’ eufonica (“avìme” e “avìte”). La terza persona plurale: “honne” – “hanne” – “iànne” – “iònne” – “àvene” – “iàvene” – “avònne”.
Un fenomeno degno di attenzione è il verbo “avetà”: abitare, che prende una ‘i’ eufonica anche all’infinito, in barba all’abitudine di vedere banditi da tale uso le parole ossitone plurisillabe, “iavetà” – “iì iàveteche”. Ma verbi come “alzà” – “amà” – “aggnì” – “assì”, non prendono la ‘i’ all’infinito come “iavetà”, se non quando, nelle coniugazioni, le forme verbali hanno l’accento tonico sulla vocale iniziale “iì ièggneche” (io riempio) – “iì ièsseche” (io esco) – “nge hanne trate le cime de rape e hanne sapùte ca iàvete a Carràsse”; (gli hanno carpito alcuni segreti ( lo hanno fatto parlare) e hanno saputo che abita al rione Carrassi).
‘U’ prostetica: le parole che cominciano con ‘u’ seguìta da vocale accentata, hanno suono molto più rafforzato, che va segnalato con un’altra “u”, in qualsiasi circostanza ed incontro: “uànde”: guanto diventa “u u-uànde” e “le u-uànde” – “uàrdie”: fa “la u-uàrdie” e “le u-uàrdie”: la guardia e le guardie. In casi particolari l’articolo ‘u’ gemina un’altra ‘u’ davanti a nomi maschili che cominciano con vocale accentata “u u-àgghie”: l’aglio; “u u-àrrue”: l’albero; “u u-àngeue”: l’angelo, ecc. Eccezioni: prendono, invece, la ‘i’ prostetica, “u iùne”: l’uno – “u iangecòle”: il cretino – “u iàggre e ddolge”: l’acre e il dolce – “u iìrre e orre” – “u iìsse e ttrase” – “u iìnde” : il dentro – “u iàzze”: l’ovile.
Vi sono parole che pur avendo le caratteristiche innanzi dette, hanno l’accento tonico sulla vocale della sillaba seguente e non sulla prima, in questo caso la ‘u’, generalmente, non è richiesta, eccezion fatta per alcuni nomi femminili. Es. “uandìire”: guantiera – “la uandìire” e “la u-uandìire”. Non pochi compilatori di vocabolari (meglio chiamarli, glossari) tratti in inganno dalla ‘i’ e dalla ‘u’ prostetiche hanno registrato molti termini in modo erroneo. Ad es. “erve”: erba è stato registrato alla ‘i’, “ièrve”, invece che alla ‘e’; “onze”: oncia è stato registrato alla ‘i‘, “iònze”, invece che alla ‘o’, “iàcce” per “acce”, “iègghie” per “egghie”, ecc. È come voler registrare nei vocabolari italiani “istrada” alla ‘i’ per il solo fatto che “strada” prende la ‘i’ eufonica dopo in, per, ecc.: per istrada, in istrada.
Suggerisco un metodo valido, per i Baresi, per controllare se la ‘i’ sia prostetica oppure no. (È necessario però essere a conoscenza della pronuncia barese dei vari vocaboli nelle loro combinazioni). Si prenda ad esempio qualsiasi sostantivo maschile singolare che inizia con ‘i’ seguìto da vocale accentata: “iàcce”, lo si faccia precedere da ‘non’ o da ‘u’: se il vocabolo fa “nonn-àcce” o “u u-àcce”, la ‘i’ che scompare è prostetica perché quando la ‘i’ è etimologia, non scompare mai, come negli esempi: “iòdie”: iodio – “u iòdie” o “u iiòdie” – “non iòdie, ma spìrde”: non iodio, ma alcool; .- “u iùse”: locale che serve a un uso utile (parlando con decenza); ma, ripeto, è necessario conoscere bene il dialetto per trarre vantaggio da un tal metodo.