Le vocali “a”, “i”, “o”, “u”
Della vocale (è) tonica ed (e) semimuta ho approfondito nel primo capitolo. In questa pagina seguiamo come sono adoperate le altre vocali: “a”, “i”, “o”, “u”. In più scopriremo i fenomeni della “u”.
Mi soffermo nelle caratteristiche di ognuna, facendo osservare, che ho eliminato qualsiasi segno diacritico su di loro, eccetto l’accento grafico segnato sempre come accento grave, evidenziando la posizione della pronuncia solamente nel suono aperto. Questo, non vuol dire rinunciare ai vari suoni che hanno una vocale sia in posizione atona, sia quando è tonica, ma ripeto, è stato semplificato al massimo nella scrittura e nella lettura della nostra lingua utilizzando la grafia dell’uso corrente con l’intento di rendere accessibile ad un pubblico più vasto e, quindi, anche ai non specialisti della trascrizione fonetica avendo constatato che ogni barese, e il meridionale in genere, esprimendosi in dialetto, assimila una sua caratteristica pronuncia, spesso fa distinguere le parole dalla forza della sillaba accentata.
Le vocali “a”, “i”, “o”, “u” non accentate (vocali atone), vengono scritte e lette come nella lingua italiana avendo suono naturale (aperto).
Esempio: (a)mìche (amico), bb(i)ànghe (bianco), (O)ràzzie (Orazio), m(u)saròle (museruola).
Le vocali, quando sono accentate: “à”, “ì”, “ò”, “ù”, diventano toniche e la pronuncia è più marcata prolungando generalmente il suono.
Es.: besciàrde (bugiardo), marìte (marito), cetròne (cetriolo), fasùle (fagiolo).
Esaminiamo singolarmente le vocali incominciando con la prima.
(A) Ha diversi suoni. Ha suono nasale, tendente verso “e” quando nelle combinazioni:
-ache; -asce; -ale; -are; -ase; -ate; è preceduta da (m) e (n) etimologiche, che fanno parte, in pratica, di una parola: nache (culla),masce (maggio), canàle (canale), marnàre e marenàre (marinaio), nase (naso), canàte (cognato).
Se la (n) non appartiene alla stessa parola, come nel caso di n’ache (un ago), n’agghie (un aglio), n’ame (un amo), dove (n) sta pernu o na (uno o una) e (n’) per elisione, generalmente non prende suono nasale tendente verso “e”.
Per quanto riguarda la (à) tonica della parola seguìta da (m) e (n) ha suono nasale.
Es.: pettàme (pittiamo), candàme (cantiamo), patàne (patate), càne (cane).
Se, invece, la (a) è atona, non ha suono nasale.
Es.: candàte (cantate), mandenùte (mantenuta), ecc.
Appare evidente che il suono della (a) di marnàre (marinaio) è diverso dalla (a) di chembàre (compare); pertanto le parole che hanno sillabe eguale a quelle con le quali si vuole fare rima, sono precedute da consonanti diverse da m e n
Questa caratteristica proprietà è praticamente sconosciuta e non viene tenutaaa presente dai non pochi poeti, per cui viene sempre a mancare la rima fonetica, in quanto i due suoni sono completamente diversi fra loro.
(I) Ha generalmente il suono come: pallìne (pallino), Colìne (Nicola), Serafìne (Serafino, Serafina). Secondo l’intonazione che viene data, specie ai nomi al femminile, le (i) di questi possono avere un suono che tenda alla “e”.
Pure le (i) di parole accentate e no, hanno diverse gradazioni di suono: mì (mio), chighirichì (chicchirichì), ci (chi), cicì(pidocchio).
(O) Anche la (o) ha diverse gradazioni di suono. Es.: l’(o) di calòre (calore), pertòne (portone), è più larga della (o) di sone(suona), more (muore), nore (nuora).
(U) A volte ha suono largo come in rasùle (rasoio), alcune volte suono chiuso come in cchiù (piú). Come ho sottolineato nell’introduzione della presente pagina, l’accento è segnato sempre grave, cioè aperto, per cui la (u) di cchiù, che ha suono chiuso viene sempre scritto con l’accento grave. L’argomento sugli accenti sarà presentato in un successivo articolo.